Italiano o inglese: quale lingua per la ricerca e i finanziamenti?

Ritorna l’annosa questione sull’inglese e l’italiano nei bandi PRIN.

Paolo Di Stefano sul Corriere di oggi (ieri sulla versione digitale) ritorna sull’annosa questione dell’uso dell’inglese e dell’italiano per le proposte di progetti di ricerca PRIN.

La questione è annosa, come si può vedere anche dall’intervento del direttore della Crusca, Claudio Marazzini. Provo qui a rispondere alle domande che questi è altri interventi pongono, sollecitando l’adozione unica o a pari livello dell’italiano come lingua per la presentazione delle richieste di contributo.

Perché devono essere scritti in inglese?

Le proposte PRIN devono essere valutate da valutatori esterni e senza potenziali conflitti di interesse.

Poiché i bandi PRIN coinvolgono l’intera comunità scientifica italiana, è quindi necessario ricorrere ad esperti di altri Paesi che non necessariamente conoscono lo nostra lingua.

L’utilizzo dell’inglese è, soprattutto nel caso dei PRIN, fondamentale, nonostante si tratti di un bando italiano per enti italiani. Se si trattasse di un bando minore, ci sarebbe la possibilità di trovare più facilmente docenti italiani senza conflitti di interesse.

Perché italiano e inglese non possono essere allo stesso livello?

Questa è una soluzione adottata già in passato per i PRIN. Quest’anno il bando PRIN prevede che la versione in italiano sia facoltativa. Marazzini chiede se non sia possibile porre le due lingue, inglese e italiano, allo stesso livello.

Anche se la doppia versione fosse resa obbligatoria, rimarrebbe il problema che una delle due dovrebbe prevalere in caso di discrepanze tra i due testi. E per i motivi presentati sopra, la versione a prevalere sarebbe certamente l’inglese.

Ma se è così, molti si chiedono perché si debba fare la doppia fatica di presentare il testo in italiano e in inglese, quando di fatto solo una varrà ai fini della valutazione.

D’altra parte, chi ha lavorato su testi in doppia versione linguistica sa quanta fatica costa mantenere l’allineamento tra le due, durante le varie fasi di revisione.

La scelta di imporre l’inglese come obbligatorio e l’italiano come facoltativo suona più una concessione fatta a chi è a favore dell’italiano, senza perdere il vantaggio del testo unico che fa fede.

Non si potrebbe imporre l’italiano almeno per i progetti di italianistica?

L’osservazione ha chiaramente una sua ragion d’essere. Ci sono progetti che – per il tema trattato e le discipline coinvolte – richiede la conoscenza della lingua italiana. Chi valuta progetti di storia della letteratura italiana o di italianistica dovrà conoscere la nostra lingua. E quindi: perché non imporre almeno in questi casi che le proposte siano solo o principalmente in italiano?

Un primo problema (minore!) è che se si introduce questa eccezione, ma a questo punto di potrebbero introdurne delle altre, quanto meno per le altre storie della letteratura e le discipline linguistiche francesi, tedesche, spagnole.

Il secondo problema (molto pratico) è che il bando PRIN non riconosce come discipline la storia della letteratura italiana o la linguistica italiana, perché si basa sulla classificazione dei settori ERC. Il ministero avrebbe dovuto modificare i settori ERC introducendo quelli specificatamente legati alla lingua italiana.

Ma anche avesse fatto questo, in molti casi si sarebbe perso quella dimensione interdisciplinare che sempre più è richiesta dai progetti di ricerca. Quale lingua imporre per progetti a cavallo tra sociologia e letteratura italiana, o tra linguistica italiana e informatica?

Una battaglia che merita orizzonti più ampi

Marazzini ritiene che le proposte di progetto PRIN dovrebbero essere scritte in italiano per farle leggere a qualunque cittadino sia interessato.

Dunque tutti accettino anche di rendere pubblico il loro testo nella lingua ufficiale della nazione, perché possa essere letto da qualunque cittadino italiano desideri farlo

Claudio Marazzini

Temo che qui Marazzini mostri la propria ignoranza sui meccanismi dei finanziamenti alla ricerca e una certa ingenuità sulla comunicazione scientifica.

Le proposte PRIN non sono documenti pubblici, ma riservati. Le leggono e le possono leggere solo le persone coinvolte nella proposta, il personale del ministero e i valutatori.

Ma, soprattutto, le proposte di ricerca – anche fossero in italiano – non sono pensate per i cittadini, dato il loro carattere altamente tecnico. Scriverle in italiano non le rende di per sé leggibili per chiunque.

Sono personalmente sensibile alle richieste di porre attenzione che l’italiano della ricerca non diventi ancillare all’inglese. Come scrive Di Stefano

sarebbe indispensabile tener vivo il linguaggio scientifico nella propria lingua madre, pena il trasformarla in dialetto.

Paolo Di Stefano

Non credo però che tale battaglia debba essere combattuta su un campo così ristretto e specifico come quello delle richieste di contributo.

Concentriamo, invece, le forze e uniamo le competenze per migliorare la didattica, la divulgazione, il giornalismo scientifico e anche la comunicazione sui social network in italiano.

In particolare, la Crusca dovrebbe avere un ruolo chiave per individuare in maniera tempestiva i neologismi tecnico-scientifici in inglese e proporne una versione in italiano.

Proprio oggi Radio Rai3, all’interno della trasmissione “Lessico vaccinale”, proponeva una riflessione sul termine ‘efficacia’, che dovrebbe tradurre due termini tecnici inglesi distinti: ‘efficacy’ ed ‘effectiveness’.

Efficacia: questo è uno di quei casi in cui la scienza ha davvero bisogno di parlare in inglese, perché a tradurre in italiano si rischia un’ambiguità.

Siamo certi che non sia possibile ritrovare nel vocabolario italiano due termini distinti per questi due concetti, oppure introdurre un neologismo formato secondo le regole proprie dell’italiano, per tradurre i due termini tecnici?